"Il sole era
cocente, e siccome non potevo guardare che il
rumore confuso,
ma, stando così supino, non potevo
scorgerne la
causa. A un tratto sentii qualche cosa che si
muoveva sulla mia
gamba sinistra, dalla quale, passando
sul mio petto, mi
saliva a poco a poco verso il mento.
Guardando alla
meglio da quella parte, vidi una creatura
umana alta forse
un sei pollici, che aveva in mano un
arco e una
freccia e a tracolla un turcasso. Non meno di
quaranta altri
esseri della stessa specie tennero dietro al
primo.
Stupefatto,
cominciai a gridare, e così forte che quegli
omuncoli, presi
dalla paura, scapparono; e seppi di poi
che qualcuno
d'essi si era ferito abbastanza gravemente
nella fretta di
precipitarsi dall'alto del mio corpo in terra.
Però ritornarono
subito, anzi uno d'essi ardì farsi avanti
fino al punto di
vedermi bene in faccia, e alzando le
mani e gli occhi
in segno di stupore, gridò con una
vocina in
falsetto, ma che io intesi benissimo."
Questo breve brano è tratto dal romanzo utopico di Taylor Swift "I viaggi di Gulliver".
L'opera
s'inserisce in chiave parodistica anche nel genere letterario utopistico,
iniziato proprio in Inghilterra nel Rinascimento con Tommaso Moro che nel suo
romanzo L'Utopia descriveva una società perfetta realizzata dagli uomini
nell'immaginaria isola di Utopia.
Come si evince dal brano, la qualità che subito nota il protagonista è la dimensione degli abitanti di Lilliput, la città nella quale si trova.
Con questo romanzo, Swift vuole sollevare una feroce critica alla società e al comportamento umano del tempo:
ognuno dei viaggi diventa il pretesto per irridere il sistema giudiziario, i
meccanismi del potere, la politica, la pretesa razionalità, i vizi e i
comportamenti dei suoi contemporanei, l'assurdità delle convenzioni sociali,
l'irrazionalità della guerra e gli svariati interessi e motivi che la causano
(interessi economici, conflitti dinastici e religiosi, dispute politiche,
interessi personali o di potere, ecc.). L'atteggiamento di Swift è di profondo
pessimismo sulle possibilità dell'uomo di migliorare.
Come ho già detto, l'autore si è ispirato al romanzo "Utopia" di Tommaso Moro, è importante specificare che il titolo
dell'opera è un neologismo coniato da Moro stesso, e presenta un'ambiguità di
fondo: "Utopia", infatti, può essere intesa come la latinizzazione
dal greco sia di Εὐτοπεία, parola composta dal prefisso greco ευ- che significa
bene e τóπος (tópos), che significa luogo, seguito dal suffisso -εία (quindi
ottimo luogo), sia di Οὐτοπεία, considerando la U iniziale come la contrazione
del greco οὐ (non), e che cioè la parola utopia equivalga a non-luogo, a luogo
inesistente o immaginario. Tuttavia, è molto probabile che quest'ambiguità
fosse nelle intenzioni di Moro, e che quindi il significato più corretto del
neologismo sia la congiunzione delle due accezioni, ovvero "l'ottimo luogo
(non è) in alcun luogo", che è divenuto anche il significato moderno della
parola utopia. Effettivamente, l'opera narra di un'isola ideale (l'ottimo
luogo), pur mettendone in risalto il fatto che esso non possa essere realizzato
concretamente (nessun luogo). Dunque, sono queste le qualità che sono intrinseche nella parola "utopia": immaginazione e irraggiungibilità.
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