Analizzando il concetto di "qualità" nella storia
della filosofia, vediamo che molti pensatori lo hanno definito in modi diversi.
Il sapere filosofico, teologico e scientifico elaborato in
età medievale (secc.VI – XIV) viene
designato con il termine SCOLASTICA. Il termine deriva dal fatto che nel
Medioevo la produzione intellettuale è legata alle scuole; infatti, a partire
dal secolo XIII la ricerca intellettuale si concentra nelle Università, libere
corporazioni di studenti e insegnanti, dove la filosofia ha un ruolo centrale
per la dimostrazione razionale dei contenuti di fede e coincide sostanzialmente
con la lettura e il commento dei testi aristotelici. La filosofia del XIII
secolo fu, però, qualcosa di diverso da una semplice esegesi di Aristotele;
essa ne fu, infatti, la reinterpretazione
da parte dei cristiani, ma anche alcuni filosofi arabi cominciarono in questo
periodo a sostenere le prime argomentazioni. Per esempio, Enrico Di Gand vissuto
intorno al 1293, fu un maestro delle arti e poi di teologia all’Università di
Parigi. Tra le sue opere più note, troviamo Quodlibeta e Summa teologica. Enrico
parte dalla nozione di essere, ma poiché egli intende evitare il necessitarismo
greco, egli spiega fin dall’inizio l’ontologia del filosofo arabo in un senso
cristiano. Invece di dividere l’essere in necessario e possibile, egli lo
distingue analogicamente in:
“qualcosa che è
l’essere stesso” : essere creato ;
“ciò che è qualcosa a
cui l’essere conviene o può naturalmente convenire”: contiene ogni cosa creata.
Per quest ultimo, dunque, l’essere ha delle caratteristiche
intrinseche che definiscono l’essere stesso; e altre qualità che, invece, può
acquistare con il tempo, caratteristiche a cui aspira. L’essere che non è che
l’essere, ma che è tutto l’essere, può chiamarsi indifferentemente il Bene o il
Vero, ma egli è tutto questo solo perché egli è ciò la cui essenza è tale che
egli è di pieno diritto. L’essere che è “qualcosa di cui conviene o può
naturalmente convenire essere” comprende tutto ciò che rientra o può rientrare
nelle qualità. Esso si distingue quindi immediatamente dall’essere divino. Andando
oltre, egli ritiene che, poiché le esistenze dipendono in primo luogo dalla
volontà di Dio, l’intelletto divino non le conosca che mediante quest’atto
della volontà divina. In questo caso si può parlare di un certo volontarismo,
perciò nell’essere ci sono qualità intrinseche dettate dalla volontà di Dio. Attualizzandolo,
la creazione pone ogni essere come identico a se stesso e differente dagli
altri. Tra queste creature l’UOMO si definisce come l’unione di un corpo e di
un’anima razionale:
Corpo: costituito dalla sua propria forma, caratterizzata da
qualità esteriori, visibili a tutti;
Anima: è elevata al di sopra del corpo rimanendo quindi
aperta alle influenze intelligibili, con caratteristiche che si ispirano alla
volontà divina.
Accettando la distinzione tra intelletto possibile e
intelletto agente, Enrico spiega l’astrazione :ciò che l’astrazione ci fa
raggiungere è si ciò che la cosa è, e poiché noi la raggiungiamo quale è, la
conoscenza che ne abbiamo è fondata sul vero; ma essa non ci fa aggiungere
l’essenza intelligibile della cosa.
Il pensiero moderno ha messo da parte, considerandoli dei
semplici verbalismi, tipici della scolastica, e insussistenti ai fini di una
maggiore comprensione, quelli che Aristotele considerava come i vari
significati della categoria della qualità. Così ad esempio nel considerare
quella che Aristotele indica come un accidente della qualità, la disposizione,
si può vedere come anche senza essa si ha sempre la comprensione: per cui ad
esempio dire che l'oppio produce sonnolenza (qualità) non è diverso dal dire
che l'oppio ha la disposizione dormitiva (accezione della qualità).
Nessun commento:
Posta un commento